19 e 20 settembre 2020

A VOCE ALTA – ATTO III: IL TEATRO

Laboratorio sulla lettura ad alta voce condotto da Beatrice Faedi.

A vent’anni dalla morte di Sarah Kane, il suo teatro merita di essere conosciuto, visto, vissuto e recepito non solo come un testamento, ma come uno stupefacente esempio. Giocosa e intima, piena di energia, ma anche di un senso di perdita: con grande precisione, senza dimenticare il valore dell’improvvisazione, la drammaturga ci invita nel suo mondo, senza svelare ogni mistero e senza cedere a qualunque moto o istinto di categorizzazione. Libera, dolorosamente libera e pienamente dentro il suo tempo

“Ogni complimento mi ruba un pezzo d’anima”: così Sarah Kane, drammaturga inglese scomparsa tragicamente ancor prima di compiere trent’anni, parlava attraverso la voce del suo ultimo personaggio. Un talento immenso, il suo, che in molti non hanno capito, se non dopo la sua morte. Niente era un tabù per lei e tutto era possibile nel suo teatro, che era proprio come è la vita stessa, crudele e magnanima, efferata e  salvifica.

Nata il 3 febbraio 1971 a Brentwood, vicino a Londra, Sarah Kane inizialmente subì il fascino della poesia, abbandonata presto per dedicarsi al teatro. Dopo gli studi di drammaturgia, iniziò a farsi conoscere nel 1994 con la trilogia di monologhi Sick. Un anno dopo, debuttò al Royal Court di Londra con la sua prima opera, Blasted, in cui venivano messe in scena immagini di violenza.

“Non c’è niente che non si possa rappresentare in scena: affermare di non poter raccontare qualcosa, dire che non se ne può parlare, è un atto di ignoranza terribile. Volevo essere sincera fino in fondo sull’abuso e sulla violenza. Tutta la violenza presente nel testo è stata inserita attentamente nel plot ed è stata strutturata secondo un punto di vista drammaturgico che mi ha permesso di dire quello che volevo sulla guerra. La logica conclusione dell’atteggiamento che produce un caso isolato di stupro in Inghilterra è la violenza etnica in Bosnia. E la logica conclusione di come la società si aspetta che gli uomini si comportino in guerra”.

Seguirono Phaedra’s love nel 1996, Cleansed e Crave nel 1998, altrettanto estremi e sconvolgenti. Un anno dopo la sua situazione personale peggiorò, anche in seguito alla fine della storia con la sua compagna. Dopo un’overdose di medicinali, Sarah venne ricoverata in ospedale per depressione. Non ne uscì più: il 20 febbraio 1999 venne trovata morta nel bagno, dopo essersi impiccata con i lacci delle sue scarpe. Solo pochi giorni prima aveva scritto di getto un monologo in cui dava voce ai suoi stessi fantasmi. “Muoio per una a cui non importa / muoio per una che non sa proprio / mi stai spezzando”, scrisse, prima di cedere alla disperazione.

Proprio il suo ultimo lavoro, 4.48 Psychosis, venne rappresentato postumo al Royal Court Theatre per la regia di James Macdonald nel giugno 2000. Il titolo era un chiaro riferimento all’ora della notte in cui, secondo le statistiche, avverrebbero più suicidi. Prima di entrare in programmazione, fu presentato di fronte a una platea speciale: famiglia, amici, colleghi e drammaturghi celebri, come Harold Pinter e Joe Penhall. Ne uscì una serata strana, intrisa di un senso di perdita e di scoramento, ma anche di grande e deflagrante potenza.

La lucidità si trova nel centro di convulsione, lì dove la folla viene consumata dall’anima spaccata in due.
Mi conosco.
Mi vedo.
La mia anima è presa in una ragnatela di ragioni
tessuta da un dottore per aumentare il numero dei sani.
Alle 4 e 48
dormirò.
Sono venuta da te per essere guarita.
Tu sei il mio dottore, il mio salvatore, il mio giudice onnipotente, il mio prete, il mio Dio, il chirurgo della mia anima.
Ed io sono la tua discepola verso la lucidità.

Date: 19 e 20 settembre 2020
Orario: dalle 10.00 alle 17.00 con un’ora di pausa
Costo: euro 100,00 (+ 20,00 euro di tessera associativa se non associati)
Termine iscrizioni: giovedì 10 settembre 2020